MODELLI DI LEGAME E FATTORI CHE INFLUENZANO LA STRUTTURA DEI SOLIDI

 

Nella parte precedente ci siamo occupati della descrizione e classificazione delle strutture cristalline, senza approfondire in genere le ragioni per cui una specie preferisca una struttura ad un’altra.

Le strutture cristalline sono influenzate da un considerevole numero di fattori - dimensioni atomiche, natura del legame, configurazioni elettroniche, etc.-  e mentre ciascun fattore ha un effetto ben compreso se isolato, è più difficile stabilire l’effetto di tutti i fattori in combinazione.

Risulta perciò difficile, se non impossible, prevedere la struttura di una specie nuova o sconosciuta, a meno che non ricada in una categoria ovvia (come un nuovo spinello o una nuova fase perovskitica).

Ci occuperemo ora di alcuni dei fattori che influenza le strutture cristalline, cercando contemporaneamente di illustrare le idee correnti nell'area della cristallochimica.

 

Analisi preliminare

La struttura adottata da un particolare composto cristallino semplice dipende, in  prima approssimazione, da tre fattori principali:  

 

a) la formula generale del composto e le valenze degli elementi presenti;  

b) la natura del legame tra gli atomi;  

c) le dimensioni relative di atomi e ioni.

 

Formula generale, valenze e numeri di coordinazione. Usiamo il termine 'formula generale'  per indicare il numero relativo di atomi presenti di ogni elemento, senza specificare il tipo di atomi, i.e. per un composto binario sarà  AxBy. Per tale composto i numeri di coordinazione di A e B  sono collegati direttamente alla formula generale, secondo la regola:

 

I numeri di coordinazione di A e B stanno nel rapporto y: x, ammesso che non vi siano legami diretti A-A o B-B.  

 

Questo si applica alla maggior parte dei composti ionici e polari. Per un composto AB2 i numeri di coordinazione di A (da parte di B) e di B (da parte di A) sono nel rapporto 2:1, come in SiO2 (4:2), TiO2 (6:3) e CaF2 (8:4). La regola non stabilisce i numeri di coordinazione assoluti per una certa formula, ma pone restrizioni sulla combinazione dei numeri di coordinazione possibili in una struttura.

La regola può essere estesa a strutture più complesse. In un composto AxByCz in cui A e B sono cationi coordinati solo da anioni, C, il numero di coordinazione medio dei cationi (NC) è collegato al numero di coordinazione dell’anione da 

NC medio dei cationi / NC dell’anione  = z / (x + y)

in cui NC medio dei cationi è dato da

  [x (NC di A) + y (NC di B)]/ (x + y)       

Sostituendo si ha:

  x (NC di A) + y (NC di B) = z (NC di C)

Vediamo alcuni esempi.

(a)      La perovskite, CaTiO3, contiene Ti4+ ottaedrici e Ca2+ 12-coordinati. Quindi NC dell’anione risulta 6. Infatti nella struttura della perovskite l’ossigeno è coordinato ottaedricamente a due Ti4+ e quattro Ca2+.

(b)     Lo spinello, MgAl2O4, contiene ioni Mg2+ tetraedrici e Al3+ ottaedrici. Il numero di coordinazione dell’ossigeno risulta 4. Questo è corretto perchè l’ossigeno è coordinato tetraedricamente a tre ioni Al3+  e uno ione Mg2+.

 

La relazione ha scarso valore euristico perchè richiede la conoscenza delle strutture. Consente tuttavia una certa razionalizzazione ed è utile per determinare NC dell’anione in strutture complesse. Non funziona quando si hanno legami tra atomi dello stesso tipo.

Queste considerazioni si applicano ai numeri di coordinazione relativi in un composto e non tengono in conto la valenza degli atomi.  Nelle specie molecolari  i numeri di coordinazione assoluti sono ovviamente controllati dalla valenza (vedi VEC) perchè le molecole sono tenute assieme da legami covalenti a coppie elettroniche. A meno di legami multipli o elettron-deficienti il numero di legami di un atomo in una molecola è uguale a NC e quindi alla valenza dell’atomo stesso (la regola 8 – N).  

Nei materiali non-molecolari, tuttavia, la valenza di un atomo o ione non ha una relazione diretta con il numero di coordinazione e con la struttura, a parte il fatto di controllare la formula generale del composto. Pertanto i composti della serie LiF, MgO, ScN, TiC, hanno tutti la stessa formula generale, AB, e la stessa struttura cristallina, quella del salgemma. I numeri di coordinazione sono, quindi, 6:6, ma le valenze degli atomi aumentano da 1 in LiF a 4 in TiC. Il tipo di legame presente varia certamente nella serie, da ionico in LiF a essenzialmente covalente in TiC, ma la struttura cristallina è indipendente dalla valenza atomica.

 

Legame chimico nei cristalli. La natura del legame tra gli atomi influenza considerevolmente i numeri di coordinazione è quindi gioca un ruolo primario sulla struttura cristallina adottata.

Una classificazione dei cristalli basata sul tipo di legame è utile per comprendere le relazioni tra struttura e proprietà. Si possono individuare cinque tipi di legame: ionico, covalente, metallico, molecolare (van der Waals) e legame d’idrogeno. Nelle situazioni reali, tuttavia, i solidi possono presentare aspetti tipici di più di uno dei tipi di legame indicati.

 

Avendo maggiore interesse per i tipi di legame in materiali non-molecolari,

confrontiamo i primi due tipi di legame.

Il legame ionico genera strutture con alte simmetrie (per via della distribuzione sferica della carica attorno agli ioni), in cui i numeri di coordinazione sono i più alti possibili. In questo modo la forza attrattiva elettrostatica netta che tiene uniti gli ioni nel cristallo (e quindi l’energia reticolare) risulta massimizzata.

Il legame covalente, invece,  produce strutture a legami fortemente direzionati in cui uno o tutti gli atomi presenti mostrano una preferenza per un certo intorno di coordinazione indipendentemente dagli altri atomi presenti. I numeri di coordinazione sono generalmente piccoli  e minori di quelli nelle strutture ioniche corrispondenti che contengono atomi di dimensioni simili.

 

Il tipo di legame correla bene con la posizione degli atomi costituenti nella Tavola periodica e, particolarmente, con la loro elettronegatività. I metalli alcalini e alcalino-terrosi formano strutture essenzialmente ioniche (talora con l’eccezione del berillio), specialmente in combinazione con gli anioni più piccoli e più elettronegativi, come O2- e F-. Strutture covalenti si osservano specialmente con (a) atomi piccoli ad alta valenza, che nello stato “cationico” sarebbero altamente polarizzanti, e.g. B3+, Si4+, P5+, S6+, etc., e in misura minore con (b) atomi grandi che nello stato anionico sono altamente polarizzabili, e.g. I-, S2-.

 

La maggior parte dei materiali non-molecolari presentano legami che hanno carattere intermedio tra ionico e covalente e, come vedremo, esistono metodi per fare valutazioni quantitative della ionicità di un particolare legame, cioè della percentuale di carattere ionico. Un fattore aggiuntivo in alcuni composti dei metalli di transizione è il manifestarsi di “legame metallico”. Su quest’ultimo, tuttavia, è in corso una accesa polemica. Mentre infatti è fuori di dubbio il significato di comportamento metallico  di un certo materiale, l’esistenza di un legame metallico con caratteristiche distinte da quelle di altri legami covalenti non appare così evidente da richiedere che lo si classifichi a parte.

 

Alcuni esempi chiari dell’influenza del tipo di legame sulla struttura cristallina sono i seguenti:

(a) SrO, BaO, HgO.  SrO e BaO hanno la struttura del salgemma, con ioni M2+ in coordinazione ottaedrica. Sulla base delle sole dimensioni, se fosse ionico,  HgO dovrebbe avere la stessa struttura. Invece il mercurio è solo bicoordinato in HgO e la struttura può essere considerata covalente (struttura a catene zigzag, Figura).

 

 

Si hanno segmenti lineari O-Hg-O nella struttura che possono essere razionalizzati sulla base di una ibridizzazione sp o pd (Figura) per il mercurio.  

 

(b) AlF3, AlCl3,  AlBr3 e AlI3. Questi composti mostrano una progressiva transizione da legame ionico a covalente al diminuire della differenza di elettonegatività tra i due elementi. Infatti AlF3 è un solido essenzialmente ionico ad alto punto di fusione, con gli ioni Al3+ in coordinazione ottaedrica distorta e una struttura correlata a quella di ReO3. AlCl3 ha una struttura polimerica a strati simile alla struttura di CrCl3 (tipo BiI3). I legami possono essere ritenuti parzialmente ionici/parzialmente covalenti. Infine AlBr3 e AlI3 hanno strutture molecolari con unità dimeriche di formula Al2X6 (simmetria D2h), con legami essenzialmente covalenti. 

Anche gli alogenuri di altri elementi, e.g. Be, Mg, Ga, In, mostrano variazioni nel legame e nella struttura al variare dell’alogeno. Gli andamenti sono analoghi; con i fluoruri la differenza di elettronegatività porta alle strutture più ioniche, mentre con gli altri alogenuri si ha un crescente carattere covalente secondo la serie cloruri-bromuri-ioduri.

 

Dimensioni atomiche. Le dimensioni relative degli atomi in un composto hanno notevole influenza sulla struttura, specialmente per quelle a maggior carattere ionico.

Un principio guida nelle strutture ioniche è che  il numero di coordinazione di un particolare ione è il più grande possibile, ammesso che esso possa stare a contatto con tutti i suoi vicini di segno opposto. La situazione limite si verifica quando un catione è troppo piccolo per poter occupare adeguatamente una particolare cavità nell’impacchettamento anionico. Una ipotetica struttura in cui un catione possa muoversi all’interno della sua cavità è da considerarsi instabile. La dimensione limite in diversi tipi di cavità può essere stimata, in teoria, usando le regole sul rapporto dei raggi. Bisogna però affermare subito che le correnti idee in proposito sono molto critiche, e che in pratica vi sono molte eccezioni alle regole, tali da renderne dubbia l’applicabilità. Il principio generale però è chiaro: al crescere del rapporto (rcatione/ranione) il numero di coordinazione del catione cresce.

 

Un buon esempio di ciò, che sembra rappresentare una situazione di successo per le regole, è il caso degli ossidi MO2. Al crescere delle dimensioni di M si hanno le seguenti variazioni:

CO2     (NC di C = 2)

SiO2    (NC di Si = 4)

TiO2    (NC di Ti = 6)

PbO2  (NC di Pb = 8)

 

Altri esempi di tale andamento sono:

BeF2 (struttura SiO2, NC = 4);  MgF2 (struttura TiO2, NC = 6);  CaF2 (NC = 8); Rb2O (NC = 4);  Cs2O (NC = 6)

BeO (struttura ZnS, NC = 4);  MgO (struttura NaCl, NC = 6)

 

Normalmente i raggi per un dato elemento sono nella sequenza:

 

raggio catione  < raggio covalente < raggio anione

ma sono pochi gli elementi che possono esistere in tutti e tre gli stati. Due esempi sono l’idrogeno e lo iodio (poi forse alcuni metalli, pensando ai composti intermetallici, in cui sono presenti specie metalliche con funzione anionica).  

Bisogna precisare che gli elementi non differiscono troppo nei loro raggi covalenti. Per esempio, consideriamo CI4,  una molecola covalente tetraedrica. Il raggio covalente del carbonio è grande a sufficienza per formare quattro legami covalenti C-I. Se la struttura fosse ionica tuttavia lo ione C4+  (che non esiste chimicamente) sarebbe troppo piccolo per essere coordinato tetraedricamente da quattro grossi ioni I-.

 

Strutture ioniche

Il legame puramente ionico in composti cristallini è una idealizzazione che si realizza raramente in pratica. Perfino nelle strutture considerate essenzialmente ioniche, come NaCl o CaO, vi è un certo grado di covalenza nel legame tra cationi e anioni, che serve a ridurre la carica ionica netta.

Il grado di covalenza cresce al crescere della valenza ionica fino al punto che appare improbabile l’esistenza di ioni con carica netta maggiore di +1 o –1. Così mentre NaCl può essere ragionevolmente rappresentato come Na+ Cl-, TiC (con la stessa struttura) certamente non contiene ioni Ti4+ e C4- e il tipo di legame può essere considerato principalmente non-ionico.

Nasce allora un dilemma. Continueremo a usare il modello ionico pur sapendo che per molte strutture, come  Al2O3 e CdCl2, è presente un alto grado di covalenza? Altrimenti dovremo cercarci un altro modello di legame.

In questa parte daremo una certa prominenza al legame ionico per la sua ampia applicabilità (almeno apparentemente) e per la sua utilità come punto di partenza nel descrivere strutture che pure hanno un certo grado di covalenza. Considereremo poi metodi per stabilire il grado di carattere covalente nelle strutture ioniche.

 

Ioni e raggi ionici. E’ difficile immaginare di poter discutere di chimica dei cristalli senza disporre di informazioni sulle dimensioni degli ioni nei cristalli stessi. E’ in corso, tuttavia, una piccola rivoluzione in cristallochimica in merito ad alcuni concetti fondamentali sui raggi ionici. Le tabulazioni storiche dei raggi di Pauling (1928), Goldschmidt e altri sono ora considerate  seriamente errate. Allo stesso tempo i concetti di ioni, strutture ioniche e modello ionico sono in corso di revisione. In compilazioni relativamente più recenti dei raggi ionici, come quelle di Shannon e Prewitt (1969,1970), i cationi sono significativamente più grandi e gli anioni più piccoli rispetto ai valori assegnati in precedenza. Per esempio, i raggi di Pauling di Na+ e F- sono 0.98 e 1.36 Å, rispettivamente, mentre Shannon e Prewitt danno valori da 1.14 a 1.30 Å, in base al numero di coordinazione, per Na+ e  l.19 Å per F-.

Questa evoluzione è in parte legata al fatto che la moderna cristallografia a raggi X ha consentito di ottenere mappe molto accurate di distribuzione della densità elettronica nei solidi ionici cristallini.  Si può così effettivamente vedere la posizione degli ioni e stimare le loro dimensioni (ionic crystal radii), la loro forma e natura (studi di charge density, condotti a bassa temperatura in condizioni di alta accuratezza).  

In Figura si vede una mappa a contorni della densità elettronica in LiF, per una sezione passante attraverso la struttura parallelamente ad una faccia della cella unitaria, cioè attraverso i centri degli ioni Li+ e F- posizionati nei piani di tipo (100).  

 

La variazione della densità elettronica con la distanza lungo la linea che connette ioni Li+ e F- adiacenti è mostrata in Figura.


I punti sull’asse orizzontale rappresentano il minimo di densità elettronica (M), il raggi di Goldschmidt (G) e il raggio di Pauling (P) del Li+.  L’analisi di dati di questo genere porta alle seguenti conclusioni:

(a)              Gli ioni sono essenzialmente sferici.

(b)             Possono essere considerati composti di due parti: un nocciolo centrale in cui è concentrata la maggior parte della densità elettronica e una sfera di influenza esterna, che contiene una bassa densità elettronica.

(c)             L’assegnazione dei raggi agli ioni è difficile; persino nei casi in cui sono supposti a contatto non è ovvio dove finisca l’uno e dove inizi l’altro.

 

Il punto (b) contrasta con le precedenti ipotesi che gli ioni possono essere trattati  come sfere cariche, incompressibili e non-polarizzabili. Certo gli ioni sono carichi, ma non sono da considerare sfere di raggio definito. La loro densità elettronica non crolla bruscamente a zero a una certa distanza dal nucleo, ma scende gradualmente. Invece che incompressibili gli ioni sono probabilmente molto elastici, a seguito della flessibilità della sfera esterna di influenza, mentre il nocciolo interno rimane inalterato. Questo è necessario per spiegare le variazioni dei raggi con il numero di coordinazione. Entro certi limiti quindi gli ioni si possono espandere o contrarre a seconda di quanto richiesto dalla situazione.

Le mappe di densità elettronica mostrano che questa è concentrata in vicinanza dei nuclei; in un cristallo quindi la maggior parte del volume è essenzialmente spazio vuoto con scarsa densità elettronica.

 

Le difficoltà nell’assegnazione dei raggi ionici nascono dal fatto che tra ioni adiacente la densità elettronica passa  per un ampio minimo (vedi Figura sopra). In LiF, i raggi di Li+ di Pauling e di Goldschmidt pur essendo molto diversi (e diversi dal punto di minimo), nell’intervallo 0.60 - 0.92 Å, giacciono tutti  nella larga zona di minimo della densità.

Non discuteremo i molti metodi usati per stimare i raggi ionici assoluti, principalmente basati su criteri di apporzionamento delle distante interioniche. Anticipiamo solo che la moderna cristallochimica tende a non attibuire un grande peso al concetto di raggio ionico.

In ogni modo, a parte le difficoltà di definire i raggi, risulta necessario disporre talora di un set di valori di riferimento. Fortunatamente, la maggior parte delle tabulazioni contiene sets di raggi che sono additivi e autoconsistenti.  Evitando di mescolare dati da tabulazioni diverse, è possibile usare ciascun set per valutare le distanze interioniche con ragionevole confidenza. Shannon e Prewitt hanno fornito due sets di raggi: uno è basato su r(O2-) = 1.40 Å ed è simile a quelli di Pauling, Goldschmidt, etc; l’altro set è basato su r(F-) = 1.19 Å (e r(O2-) = 1.26 Å) ed è collegato ai valori determinati dalle mappe di densità da raggi X.

 

Entrambi i sets comprendono dati di cationi in diverse coordinazioni.

I raggi cationici sono illustrati in Figura per diversi numeri di coordinazione. I dati si riferiscono a ioni da M+ a M4+; naturalmente i cationi a maggiore carica  non hanno probabilità di esistere come tali ma hanno una riduzione delle loro cariche mediante polarizzazione e conseguente formazione di parziale legame covalente tra anione e catione.

Per quanta riguarda i valori tabulati si osservano i seguenti andamenti dei raggi ionici, in base alla posizione nella tavola periodica, alla carica formale e al numero di coordinazione: 

(a)              Per gli elementi dei blocchi s e p, i raggi crescono col numero atomico per ogni gruppo (es. ioni alcalini ottaedrici).

(b)             Per ogni serie isoelettronica di cationi, il raggio diminuisce al crescere della carica (es. Na+, Mg2+, Al3+ e Si4+).

(c)              Per ogni elemento con stato di ossidazione variabile, il raggio cationico diminuisce al crescere dello stato di ossidazione (V2+, V3+, V4+, V5+).

(d)             Per un elemento che può avere coordinazioni diverse, il raggio cationico cresce col numero di coordinazione (vedi Figura).

(e)              Bisogna tener conto dell’effetto della contrazione lantanoidea.